Quando la biometria non viola la Privacy
I badge per il controllo presenze del lavoratore registrano l’orario effettivo di ingresso e
uscita dal luogo di lavoro senza tuttavia garantire l’identità della “mano” che timbra il
cartellino, lasciando spesso adito a comportamenti scorretti da parte di colleghi consenzienti,
che coprono eventuali assenze ingiustificate.
Per verificare la presenza certa dei dipendenti in ufficio e dei lavoratori in azienda non sempre
l’utilizzo dei tradizionali badge è dunque sufficiente: la soluzione sarebbe adottare sistemi
biometrici di rilevamento presenze ma, per risultare conformi alle direttive del Garante
Privacy (che vietano l’uso di software-spia e web monitoring), ciò è possibile solo quando
sono rispettate determinate condizioni.
Rilevatori di presenza biometrici
I rilevatori di presenza biometrici basano l’identificazione del dipendente sul riconoscimento di
caratteristiche peculiari – impronte digitali, iride o retina, geometria del volto o della mano
– possono essere collegati ad un computer centrale per immagazzinare le informazioni,
organizzarle e stampare report fruibili da azienda e dipendenti: da qui nasce il problema di
violazione Privacy.
Come ricorrere alla biometria senza violare la privacy dei lavoratori e rispettando le
indicazioni del Garante?
Tecnicamente basterebbe che il dato sensibile resti in possesso del solo avente diritto e non
dell’azienda, archiviato su carta RFID. In tal modo sarebbe solo il lavoratore a custodire i dati,
prevenendo la creazione di archivi vietati dalla Legge. E il lettore del badge verificherebbe
l’identità del lavoratore senza lasciare l’informazione sul terminale aziendale.
La normativa vigente
L’introduzione di sistemi di riconoscimento biometrico potrebbero dunque risolvere il problema,
ma il Garante per la protezione dei dati personali ha limitato il ricorso a queste tecnologie per
preservare la privacy del lavoratore.
Per definire i limiti di utilizzo consentiti per legge, è possibile consultare il quaderno di
approfondimento redatto da DigitPA nel 2004, in cui viene chiarita la posizione del legislatore
in materia.
Nel 2011 il Garante ha espresso ulteriori chiarimenti sull’utilizzo di un sistema biometrico per
la rilevazione delle presenze in azienda: è vietato se risulta non necessario, se non è
proporzionato “rispetto agli scopi perseguiti” e se i dati personali e biometrici dei dipendenti
vengono trattenuti su server aziendale, soprattutto se manca il consenso degli interessati.
Dunque, un utilizzo dei sistemi biometrici “contrario ai princìpi di liceità, correttezza e finalità”,
ai sensi degli artt. 143, comma 1, lett. c), 144 e 154, comma 1, lett. d) del Codice della
Privacy, fa scattare il divieto del trattamento dei dati biometrici dei dipendenti perché “in
violazione degli artt. 3 e 11, comma 1, lett. a), b) e d) del Codice.”
Come mettersi in conformità
Per implementare il rilevamento biometrico (es.: quelli offerti da primarie aziende) l’azienda
deve presentare domanda preventiva al Garante Privacy, deve dimostrare che tale impiego
sia necessario e motivato da una proporzionata esigenza aziendale.
Infine, deve attenersi al dettato del Garante Privacy, secondo cui la presenza di archivi di
impronte biometriche in azienda non è mai ammissibile in materia di rilevazione presenze.
Né valgono gli accordi integrativi fra privati proprietà e dipendenti poiché tali strumenti si
rivelano totalmente inutili quand’anche uno soltanto dei dipendenti cambi idea e si appelli alla
giurisdizione vigente.